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al testo di Annamaria Pambianchi
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Chioggia bastimento di vele e tese brame nel mar delle arie lontane, nel libero reame delle acque.
Chioggia tartane, bragozzi, ostregheri, bragagne, burchielli, paranze e, sulle alberature, pennelli.
Chioggia pescaori, canevini e sabbionanti consacarieghe e calegheri spassacamin e pipari, cavallanti, marangoni e ortolani: a voi tutti una cetra celeste e un lembo di terra nel brolo alberato della memoria sia.
Chioggia orazioni e dipinti devoti, burrasche, naufragi e morti in mare, madonne savie e cristi in croce, santi e anime purganti. A voi sia ordito un velo di nostalgia di lettere primaverili in fiore dal sapore di malia.
Chioggia di frittura mista e polenta, di brodetto di pesce nel pozzo del dialetto senza fondo: parola sul carbone ardente.
Chioggia specchiera di acque in albe e tramonti serviti a forestieri di passo: ansiosi storni in volo.
Chioggia di rammendatrici di reti e vele, di venderigole, di merlettaie, di conversari sui poggioli, sui bianchi davanzali.
Chioggia di nudi pescatori un tempo, ora alacri aratori del ventre dei fondali.
Chioggia estro ed esaltazione nella tela a pastello di Rosalba Carriera artista dal segno che svela.
Chioggia pittura delle brume: risucchi e spossate pennellate, rossi camini e pietre sbriciolate.
Chioggia alla maniera d’una volta. Chioggia non si rispecchia nella trama di una vela vecchia.
Chioggia laguna, fondamenta, canale. Isola che non si sorregge. Non abbraccia. Non apre. Isola che a braccia conserte e a bassa voce si compiange.
(La scelta di usare nel testo molti termini dialettali - denominazione di vari tipi di imbarcazioni non più in uso, denominazioni di mestieri oggi scomparsi - è un omaggio alla storia di questa antica città la cui lingua - pur nell'inevitabile mutamento - è ancora per molti versi la lingua di Goldoni.) |
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